Intervista a Massimo Viscogliosi è un ragazzo di trentadue anni che da circa quindici vive con gli arti inferiori paralizzati nonostante questa limitazione per lui non c’è niente di meglio che vivere la vita su due ruote nello sport motociclistico

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Non c’è niente di più vero del fatto che il motociclismo è una passione che va oltre ogni differenza ed ostacolo, un amore in grado di unire persone che nella vita di tutti i giorni sono agli antipodi. Il motociclismo è anche un sentimento che permette di vivere la vita da attore protagonista, dispensatore d’emozioni che rendono vivi, ed in armonia con se stessi.

Massimo Viscogliosi è un ragazzo di trentadue anni che da circa quindici vive con gli arti inferiori paralizzati; nonostante questa limitazione, per lui non c’è niente di meglio che vivere la vita su due ruote che girano: “A otto anni – racconta il centauro di Atina, paesino della provincia di Frosinone – mio padre mi fece provare una Benelli Motobì. L’inizio fu disastroso perché dopo pochi minuti avevo le ginocchia tutte sbucciate. Quel giorno, però, capì che tra me e quell’oggetto semovente era nato qualcosa.

Era se come il Cupido delle moto avesse lanciato una delle sue frecce diritta nel mio cuore. Con il passare degli anni in sella ad una due ruote il mio senso di libertà e di indipendenza si esaltavano. Ho avuto modo di accarezzare i cordoli a sedici anni, sul tracciato di Cellole. La pista è il luogo più sicuro dove andare a provare il brivido della velocità in sicurezza. Le mie moto sono state una Aprilia Rs 50, una Rs 125, ed una Cagiva Mito 125 Ev. Ricordo che passavo interi pomeriggi in officina per smontarle e tenerle sempre performanti”. Nel 1996 il fatto che ha cambiato la vita di Massimo: “Ero in moto – spiega – quando un auto mi tagliò la strada ed io la centrai. Nella caduta mi fratturai una vertebra, con conseguente lesione del midollo spinale. Era il mese di agosto, e la degenza presso l’ospedale Cto di Roma fu lunga. Uscì a gennaio, ma non con le mie gambe”.

Traumi come quelli vissuti da Viscogliosi per molti sarebbero stati da knock-out, ma il motociclista è tale prima nell’anima, poi nel fisico: “Se – dice – prima avevo fame di moto, dopo ne ho avuta molta di più. Nel 1998 mi dedicai alla costruzione di una Supermono 400, e l’anno dopo sono tornato a guidare. Era una minimoto Grc, alla quale avevo installato delle rotelle. Per l’anno prossimo sarà pronto un dispositivo che dovrebbe permettermi di ritornare a guidare una moto vera”. Massimo, nonostante l’handicap, non ha mai smesso di essere uno di noi: “Adoro – afferma – tutto delle due ruote. Appena posso vado a vedere una gara in pista, o vado ad un motoraduno.

Le due ruote se le hai nel dna, non te ne libererai mai. Seguo molto le competizioni alla tv, ed in particolare adoro la Sbk. Il mio idolo è Max Biaggi; per la classe, lo stile di guida, è l’esempio da seguire per imparare ad andare in moto. Di lui ho un immagine speciale, perché mi fa venire in mente un bel periodo della mia vita, e vederlo in azione mi emoziona. A quarant’anni è ancora il numero uno”.

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